Orate di taglia dalle scogliere e dalle spiagge!

Publicato : 27/08/2018 16:35:24
Categorie : Blog


Se dicessimo che le scogliere sommerse sono un “biotopo” diremmo qualcosa di strano? No. Il biotopo è un’area di limitate dimensione che si distingue per determinate caratteristiche ambientali. All’interno di un biotopo, vivono un insieme di esseri viventi specifici, vegetali ed animali che, nel loro insieme, formano una biocenosi (la biocenosi di quel dato biotopo). La biocenosi più il biotopo formano una realtà funzionale che è chiamata ecosistema. Un biotopo è perciò quella componente dell’ecosistema caratterizzata da fattori non viventi (detti abiotici in biologia). Per esempio, una scogliera sommersa è un particolare biotopo. Se a questa associamo tutti gli esseri viventi che la popolano e frequentano (sia animali che vegetali), ovvero la sua biocenosi, avremo l’ecosistema che la caratterizza. Lo stesso potremo dire di una secca, o di una buca di sabbia, che è vicina alla scogliera sommersa. Questa rappresenterà un altro biotopo, che sarà frequentato da altri esseri viventi e che nell’insieme rappresenteranno un altro ecosistema.

Se sta lì… mangia quello!

Ogni ecosistema è contraddistinto dai diversi esseri viventi che lo popolano e che rappresentano la biodiversità dell’ecosistema. Ovviamente, la biodiversità (ovvero il numero di differenti specie che popolano un’area) aumenta tantissimo là dove due biotopi, e quindi due ecosistemi vengono in contatto. In queste zone, infatti, è possibile trovare sia specie di un ecosistema, sia specie dell’altro. Allora, è facile intuire che una pesce come l’orata, che ha uno spettro ampio in termini di cibo, cercherà di frequentare quelle aree in cui la biodiversità, in termini di esseri viventi di cui si nutre, è altissima. I biotopi che abbiamo preso prima in esame non erano casuali, infatti, sappiamo tutti quanto le orate amino le secche rocciose e quindi le scogliere sommerse ricche di crostacei e cozza. D’altro canto, sappiamo anche quanto le orate amino le secche sabbiose, dove cercano bivalvi ed anellidi, come anche le buche sabbiose dove i rigiri di corrente trasportano tanto detrito e quindi dove trovano accumulato cibo di vario tipo.

Rock’s rules

Questi diversi ecosistemi sono ottimi per cercare la nostre nobile preda ma, senza difficile intuizione, capiamo che se saremo in grado di trovare zone dove una scogliera sommerse entra in contatto con aree di sabbia caratterizzate da dislivelli batimetrici, ovvero dove secche e buche si alternano nei pressi della scogliera, sarà in assoluto la zona più ricca di esseri viventi di cui l’orata di nutre e, perciò, “il miglior ristorante” dove le orate, magari in grandi branchi, decideranno di pascolare a partire dalla primavera, stazionando in zona, magari con una frequenza più o meno costante, fino all’autunno. Sono queste le zone elette dai branchi di orate di taglia e dove spesso si riescono a fare i migliori carnieri della stagione, se non addirittura della vita. Detto questo, ora cerchiamo di lasciare da parte le idee e i luoghi comuni che i surfcaster hanno sulla pesca delle orate, perché cercare i nostri pesci dalle scogliere; lanciando in aree di misto (roccia e sabbia) tutto sarà piuttosto differente rispetto a cercarli pescando dalla spiaggia. In questo servizio, dunque, cercheremo di focalizzare la nostra attenzione su queste realtà, ovvero le zone dove importanti scogliere sommerse si incontrano con interessanti aree sabbiose e, per maggiore precisione, in quelle aree caratterizzate da fondali non bassi, diciamo tra i 3 e gli 8 metri, che il più delle volte sono raggiungibile lanciando da scogliere frangiflutti che, per l'appunto, si trovano a tiro di canne da altre secche rocciose sommerse che si elevano in mezzo a fondali sabbiosi.

Selezioniamo le big!

Per prima cosa, abbiamo già detto che in queste zone c’è alta possibilità di trovare pesci di taglia, perciò, cerchiamo di fare una pesca selettiva in caccia di big. La prima selezione, in cerca di pesci di taglia, la possiamo fare utilizzando esche ad hoc. Infatti, anche per le orate, in certi casi, può valere la regola esca grande pesce grande. E’ vero che tutti starete pensando a quella grande orata che una volta avete preso con un “filo” di arenicola(che certamente è un’esca intramontabile), però, esistono esche che riescono ad essere molto più visibile, avere grandi capacità in termini di richiamo olfattivo e, soprattutto, riescono a rimanere in pesca a lungo tempo, senza essere attaccate da piccoli pesci o animali di disturbo. Dovendo scegliere alcune esche selettive per questa zona in cui i due ecosistemi si toccano, possiamo dire che sono valide sia esche da sabbia che esche buone in zone rocciose, dunque, potremo scegliere voluminosi anellidi, e il bibi è senza dubbio un’esca principe, ma anche granchi, sia di sabbia che gli scuri granchi di scogli, come pure il cannolicchio, che ci permetterà di realizzare (se sgusciato) grossi bocconi che fisseremo con filo elastico e che, inoltre, ci regala la possibilità di realizzare inneschi presentandolo con tutte le valve, magari con finali a due o tre ami.

Situazioni diverse, approcci diversi

In questa situazione, le realtà da affrontare saranno molte. Potremo lanciare una canna in maniera molto marginale, nei pressi della scogliera da cui peschiamo, specialmente se avremo vicino ad essa zone di sabbia libere da incaglia. Al contrario, potremo lanciare canne a media o a lunga distanza, cercando di sfruttare le zone vicino alle scogliere sommerse, oppure al centro di buche di sabbia o alla sommità di secche sabbiose. In queste zone, così tanto eterogenee, la parola d’ordine è variare. Variare inneschi, variare zone di pesca, con lanci più o meno lunghi. Le orate, anche quando ci sono e sono numerose, bisogna trovarle. Spesso queste, se attive, sono in grandi branchi ferme in aree di pascolo, dove hanno trovato cibo in abbondanza e dove spesso si fermeranno per molto tempo (potrebbero essere quarti d’ora come intere giornate, dall’alba al tramonto). Cosa significa questo? Che c’è il rischio che, pur pescando in una zona ricca di orate di 2 o 3 chili ma lanciando in una zona sbagliata non ne prenderemo nemmeno una! E questo sbaglio nel lanciare potrebbe anche essere di soli 30-50 metri da dove si trovano i pesci.

La pesca dalla scogliera

Personalmente, io decido sempre di iniziare l’azione di ricerca mettendo una prima canna in pesca marginalmente. Questo vuol dire ad una distanza di lancio media di 5-25 m dalla scogliera dalla quale pesco. Infatti, Se peschiamo da una scogliera frangiflutti, che si affaccia su fondali già discretamente profondi, diciamo oltre i 2,5-3 m, non è affatto raro che avremo orate in pascolo sotto i nostri piedi. Orate in cerca di cozze, e crostacei tra le scogliere, o comunque di cibo che il moto ondoso porta a ridosso della scogliera stessa. In questa circostanza, la mia canna preferita è la Beach Specialist di Surfitaly ma è ottima anche la Powered 130. Questa sarà abbinata ad un mulinello imbobinato con un nylon tra lo 0,22 e 0,25. Un parastrappi di circa 8-9 m, piombo scorrevole tra i 15 e i 40 g, perlina salvanodo, e lungo finale, anche oltre i 2m. Se parliamo di orate molto grandi, è sconsigliabile l’impiego di finali inferiori allo 0,28. Ma possiamo salire anche ad uno 0,35 flurocarbon, se le circostanze lo richiedono. Questo tipo di approccio è molto light, e può riuscire ad ingannare anche pesci molto sospettosi. Spesso, le orate di taglia, mangiano il nostro boccone rimanendo ferme sul posto, masticandolo per un lungo periodo prima di cominciare a nuotare lentamente. Questo è il motivo per il quale, non di rado, riescono ad avvertire la resistenza di zavorra, lenza e vetta della canna. Il mio consiglio, per i finali scorrevoli, è quello di non mettere la lenza in tiro, ma lasciarla un po’ in bando, in modo da azzerare le resistenze della lenza nelle prime fasi di abboccata.

Per lanciare le mie esche in zone situate a distanze medie, diciamo 30-70 m, decido di impiegare La Powered 130 di Surfitaly. Una canna che riesce a padroneggiare anche zavorre oltre le 4 once ma che, in questo caso, impiego con piombi scorrevoli tra i 70 e i 100 gr. Anche in questa situazione, saranno d’obbligo finali lunghi e ami compresi tra il n.6 ed il n.1/0 in base alle esche impiegate. Il consiglio resta quello di non mettere la lenza troppo in tiro, anzi, se la corrente e il moto ondoso ce lo consentono, sarà opportuno lasciare la lenza un po’ in bando, allo scopo di rendere il sistema pescante, che è scorrevole, ancora più vincente.

Una scelta diversa è richiesta per le aree di pesca più lontane da noi. Quelle zone che richiedono lanci lunghi e precisi e, perciò, anche zavorre piuttosto pesanti, comprese tra i 150 e i 175 g. In questo caso, le opzioni che preferisco si alternato tra le Powered 170, canna telescopica di notevole potenza e precisione, la Gibilterra, tre pezzi da 190 grammi circa, o la Mitica, una tre pezzi “con gli attributi” che permette, a chi sa piegarla, anche lanci notevoli, riuscendo però ad avere una vetta molto sensibile sulle abboccate (fondamentale nella pesca delle grosse orate) e una buona piega, che tende alla parabolicità progressiva qualora le prede in questione siano di buona taglia. Canna che riesce ad ammortizzare al meglio le fughe del pesce, permettendoci anche di pescare con finali non eccessivamente grandi ma, allo stesso tempo, che ci permette di forzare il pesce qualora sia necessario staccare le grandi orate da una scogliera. Per la Powered e per la Mitica, la scelta ricade su una lenza con zavorra fissa, perciò autoferrante. Poiché le orate grandi hanno bocche dure, e gli ami impiegati spesso hanno un filo piuttosto spesso (si pensi agli ami tipo beak oltre il n. 2), è consigliabile utilizzare piombi grandi, che garantiscono un miglior effetto autoferrante. I finali saranno tra i 2,20 e i 2,50m legati ad una girella, libera di girare ad elicottero sul trave, e bloccata tra due perline e due stop, a pochi centimetri dal piombo che a sua volta sarà agganciato, tramite clip o moschettone, alla fine del trave.

Quell’oro di un pomeriggio di mezza estate

Calda mattinata di una torrida estate nel nord della Sardegna. Le condizioni meteo marine non lasciano alcuna speranza di uscire in barca, infatti, la leggera brezza che già alle 7.00 del mattino sta soffiando da nord/nord-ovest, si trasformerà a breve in un maestrale forte e teso, quindi, non ci sono alternative: se vogliamo divertirci dobbiamo puntare su una bella battuta di surfcasting (nella speranza di trovare un’area dove le nostre lenze potranno rimanere in pesca nonostante il maltempo). Questa ultima affermazione, anche se potrebbe sembrare eccessiva, nel corso della giornata non si è rivelata tale, infatti, un paio di spiagge che spesso frequento in cerca di orate, non erano per nulla praticabili, un po’ per gli eccessivi bagnati e restrizioni del caso ma, soprattutto, per un moto ondoso e una corrente esagerata che non lasciavano possibilità di pesca. Tanto meno, poi, se si voleva impostare la battuta di pesca in cerca di orate. Dopo alcuni spostamenti perlustrativi, e dopo essermi consultato con il mio amico (nonché figlioccio) Michele Falcone, si decide di andare a pescare in una zona molto particolare e bella, caratterizzata da un habitat che raramente frequento, ovvero, una laguna. Collegata con il mare in corrispondenza di un lungo fiordo, questa è ubicata in una delle zone più a nord dell’isola sarda, non lontana da casa mia. Collegata con il mare da un grande canale naturale, questa laguna si allarga come fosse un grande lago salato dove, al suo interno, possiamo trovare diverse specie target per noi pescatori, come orate, saraghi, mormore, spigole e anche, occasionalmente, predatori più grandi. Essendo un po’ che non si pescava in quella zona, e non sapendo quanto questa fosse frequentata dai pesci, ho deciso con il mio compagno di avventure di andarmi a posizionare proprio nella zona di ingresso, un canale in cui la laguna si incontra con il mare aperto. Questa scelta è stata decisa per due ragioni e, spiegando più nel dettaglio, poiché il fortissimo vento non permetteva di rimanere in pesca in molte zone della laguna mentre, invece, nella zona scelta il vento soffiava dalle nostre spalle verso l’acqua, facilitando molto le operazioni di pesca e di lancio. La seconda ragione era invece dovuta alle ottime correnti che si creano nella zona di restringimento della laguna nelle giornate di maestrale. Corrente che catalizza nell’area molto cibo per i pesci e dove, forse, la possibilità di incontrare un’orata di taglia è buona. La cosa che più mi affascina di questa realtà unica nel suo genere e che lungo le sponde, adottando le giuste modalità di ricerca, è possibile riuscire a procurarsi un po’ di esca e, tra le varie opzione, posso raccontarvi di ottimi bibi, anche di generose dimensioni, di cannolicchi e anellidi particolarmente efficaci per l’innesco. Infatti, messe da parte alcune esche che avevamo, si decide di procurarci un po’ di esca in loco e di tentare la sorte con quello che è il quotidiano cibo dei pesci in quel posto (cosa pretendere di più?). Apriremo le danze innescando due canne con il bibi (uno più piccolo; un secondo decisamente grosso) e una canna con un piccolo cannolicchio innescato intero (ovvero senza essere privato delle valve) e fissato alla lenza con l’aiuto di un po’ di filo elastico. Nel momento del lancio, volendo riuscire a stare in pesca proprio in un canalone che la corrente forma a ridosso della sponda opposto del canale lungo il quale pescavamo, mi sono reso conto che tale distanza non era fattibile. Per farvi capire meglio, i rigiri di corrente formano in quella zona, e in particolare lungo la sponda dove noi pescavamo, una vera e propria secca lunga 100-150 metri caratterizzata da fondale molto basso (da 20 cm a 1 m). Quest’ultima poi digradare in maniera lenta per poi cadere, con un netto scalino, verso il canalone principale che va da 2 a 8 m di profondità (questo era dunque veramente molto lontano dalla nostra postazione). Dunque, volendo pescare con un paio di canne dentro quel lontano canalone, avevo solo l’opzione di entrare in acqua, camminare sulla secca per alcune decine di metri, e poi appoggiare il lancio all’interno del canalone: spot, a mio avviso, molto vincente. Infatti, decido di lanciare le mie due canne più potenti, un Powered 170, con lenza piombata con 150 g, e una Powered 130, con zavorra fissa da 125 g, rispettivamente al centro del canalone e a ridosso nello scalino marcato. Entrambe le lenze prevedono una zavorra fissa, attacco basso e un finale piuttosto lungo (2,20-2,50m). La prima canna è quella innescato con il grosso bibi, la seconda con il cannolicchio. La batterie di canne in pesca prevede anche una canna più leggera da beach ledgering (e per l’esattezza la Beach Specialist di Surfitaly) lanciata con un long arm di 2m, zavorra scorrevole da 70 g, e “sparata” esattamente a fianco della grande secca, su un fondale di circa 3 metri. La terza canna viene lanciata in acqua alle 11:30 del mattino. Il vento continua a rinforzare e le vette delle canne sui picchetti hanno delle forti oscillazioni. “Non sarà facile percepire le abboccate” pensavo. 

Passata la prima mezz’ora di pesca parlando col caro Michele di ciò che potevamo preparare per fare una bella merenda, magari accompagnata da una “birretta” fresca che custodivo gelosamente con il ghiaccio nell’igloo, qualcosa di anomalo cattura il mio sguardo: la vetta della Powered 170, la canna lanciata a maggiore distanza e in pesca con una grande zavorra, risulta vibrare al vento in maniera anomale. Il tempo di mettere a fuoco e mi rendo conto che la canna risulta spiombata, con il filo allentato che sbandiera al vento. Tempo di pensare ad una sicura abboccata, vado per correre verso la canna e, con mio stupore, mi rendo conto che la stessa lenza, poco prima in bando, va in rapida tensione e la vetta della canna comincia a piegarsi in maniera brusca. Le forti testate che posso notare non mi lasciano moti dubbi e, ferrando con decisione, dopo pochi attimi mi rendono conto che i miei sospetti erano fondati: si tratta di una bella orata. Ora i dubbi su come svolgere il combattimento sono molti, infatti, al momento il grosso pesce sta nuotando su un fondale di 5-6 metri e, con il recupero, verrà portato su acqua più bassa fino a quel netto scalino che, come un muro, si alza da 3 metri fino a 70 cm d’acqua. È quella la zona più a rischio, dove il pesce potrebbe slamarsi o rompere strusciando con forza sul fondo. Mi rendo conto che si tratta di un pesce molto importante e non posso rischiare di perderlo. Allora, come è giusto che un pescatore faccia quando si trova davanti a nuove situazioni non affrontate prima, decido di seguire l’istinto e di improvvisare. Passo dopo passo, tenendo sempre il pesce fortemente in tiro, decido di entrare in acqua andandogli incontro. Questo sta tirando come un forsennato e io voglio avvicinarmi il più possibile allo scalino e, tenendo la canna alta, voglio evitare che il fino vada con energia a sfregare contro il fondale. Dopo qualche minuto, riesco nel mio intento e il pesce supera lo scalino entrando nella zona di acqua bassa e trasparente. Quella creatura meravigliosa, che brillava al sole d’estate come una pepita d’oro, nuotava maestosa su mezzo metro d’acqua, scartando da destra a sinistra con rara eleganza di nuoto. Non avendo con noi un guadino, decido di tirarmela lentamente a riva, senza mai accorciare troppo la distanza tra il pesce e la vetta ma, piuttosto, indietreggiando io verso la riva stessa. Non accorciando troppo la lenza, l’elastico che questa crea è maggiore e, perciò, la maggiore elasticità che ne consegue mi aiuterà nell’evitare un’eventuale slamatura o rottura. Il pesce è molto grosso. La mia strategia mi dà ragione, e dopo alcuni interminabili minuti di combattimento, finalmente la grossa orata è spiaggiata. A dire il vero, di quanto questa fosse grande me ne rendo conto soltanto dopo, in un secondo momento, quando ormai vinto, sdraiato sulla riva, questo meraviglioso pesce giace sul suo grosso fianco argentato: che meraviglia!

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